Estratto dal libro “Breve Storia d’Italia” Dal Regno alla Repubblica (1861-1946)

 

 

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Documento n. ST.2021.00001

 

 

 

Estratto dal libro di Francesco Cesare Casula
 “Breve Storia d’Italia Dal Regno alla Repubblica (1861-1946)”

 

Il Regno di Sardegna ebbe inizio formalmente a Roma – come Regnum Sardiniae et Corsicae – nell’antica basilica di San Pietro il 4 aprile del 1297. Papa Bonifacio VIII, per risolvere la contesa tra Angioini e Aragonesi circa il Regno di Sicilia (che aveva scatenato i moti popolari passati alla storia come Vespri siciliani), attraverso la bolla Ad honorem Dei onnipotenti Patris investì il re d’Aragona Giacomo II dello ius invadendi sulla Sardegna e sulla Corsica (la sua costituzione si conserva documentata nell’Archivio Generale di Barcellona, trascritto in P.Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, vol, I, doc. XXVIII).

Il nuovo regno fu poi realizzato giuridicamente e territorialmente dagli Aragonesi il 19 giugno del 1324 limitatamente alla sola Sardegna in quanto gli Aragonesi non riuscirono a sottrarre la Corsica ai Genovesi, nonostante i vari tentativi. 

Il nuovo regno fu aggregato altri Stati dell’unione reale -corona aragonese- una sorta di federazione; era sovrano (non recognoscens superiorem) ma imperfetto – cioè senza summa potestas – perché non poteva stipulare in proprio accordi internazionali. Aveva, all’interno i tre poteri assoluti: il legislativo, l’esecutivo, il giudiziario (= il Parlamento, la Monarchia, la Magistratura), ed una cancelleria efficiente.

Come attributo distintivo di personalità ebbe la bandiera cosiddetta dei Quattro Mori
(un moro ripetuto nei “quarti” bianchi della croce rossa di san Giorgio) citata all’art. 77 dello Statuto del Regno. Aveva anche fino alla fine della monarchia un Hymnu Sardu Natzionale (Conservet Deus su Re).

Nel corso del XV secolo venne utilizzata la denominazione di Regnum Sardiniae e la monetazione coniata fin dall’istituzione del regno porterà il riferimento alla sola Sardegna.

Dopo la battaglia e la vittoria di Sanluri (1409), nasce il 19 giugno 1324 il Regno di Sardegna ( res gestae ), storia d’Italia (Stato) e non storia della Sardegna (regione).

Chi gestisce la scuola gestisce la vita di un individuo come di un popolo

La storia della penisola italiana scambiata come la storia d’Italia (bêtise scientifica) alla ricerca di una originale koirè popolare con fine aggregante.

[.. “fatta l’italia”, con decreti di annessione dei vari stati peninsulari, a partire dal 17 marzo 1861, grazie al Regno di Sardegna, s’impose la necessità di ..”fare gli italiani”. Tramite una serie di annessioni (Anschluss) per guerra o plebiscito di tutti gli stati peninsulari pre-unitari da parte del Regno di Sardegna, cioè di quello Stato nato a Cagliari-Bonaria il 19 giugno 1324.

L’idea statale fa sì che lo Stato venga tenuto presente, da chi lo elige, in tutta la sua estensione vitale, dall’inizio alla fine, se morto, o all’oggi se ancora vivo.  Il suo popolo diventa la sua popolazione solo se si storicizza, e altrettanto il suo territorio diventa il suo terreno (o il suo fisico) quando si riferisce ad un dato anno. Entrambi i componenti, che formano insieme l’ecumène dello Stato, aumentano o diminuiscono secondo le fortune dello Stato, ma sempre comprendenti tutta l’entità, dalla nascita (nota o ignota) al cambio di condizione giuridica che ne stabilisce il termine (uno Stato termina di essere Stato quando da entità sovrana, con vincolo originario, diventa un’entità subordinata, con vincolo giuridico delegato o addirittura senza alcun riconoscimento autonomistico).

Ragionando in termini di Statualità, il Diritto Pubblico recita testualmente:

“L’attuale Stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna, profondamente mutato nella sua struttura politica e non meno mutato nei suoi confini territoriali..”.

“Tutte le trasformazioni che si ebbero, dall’antico Regno di Sardegna ad oggi, furono trasformazioni interne, per le quali si trasformò bensì, e per importanti materie, l’ordine giuridico preesistente , ma senza che questo venisse meno e cedesse il luogo a uno nuovo..”.

“Lo stesso appellativo di Regno d’Italia, assunto con legge 17 marzo 1861 n. 4671, è solo il nuovo nome, più appropriato alla nuova situazione di fatto, assunto dall’antico Stato. Ma non vi fu, né in tale occasione, né in alcuna altra antecedente o susseguente, alcuna costituzione ex novo di una entità statale..”.

“Vi fu adunque una ininterrotta continuità dell’antico ordinamento dello Stato sardo.
Né questa continuità, a più forte ragione, è venuta meno per gli avvenimenti successivi, come la rivoluzione fascista dapprima, e quella antifascista in seguito, e il passaggio dalla forma monarchica a quella repubblicana”.

Il Regno di Sardegna fu il nome indicativo dello Stato per cinquecentotrentasette anni, dal 1324 al 1861, fino a quando, alla fine delle guerre di conquista della penisola italiana, fu sostituito ex abrupto col nuovo nome di Regno d’Italia senza che in materia fosse apportata alcuna delibera parlamentare o che fosse modificato da parte del re lo Statuto, pur essendo questo una Costituzione ottriata (cioè: una legge fondamentale dello Stato elargita unilateralmente dal sovrano, e che, per questo, non aveva bisogno dei voti mai certi del Parlamento per essere emendata. In altre parole, il re non cambiò il nome dello Stato sardo né il Parlamento deliberò il cambio del nome allo Stato ma legiferò soltanto che: “il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e i suoi successori il titolo di Re D’Italia”, mantenendo pur tuttavia il titolo e l’ordinale del Regno di Sardegna. Quindi attraverso l’atto della VIII legislatura, la legge del 17 marzo 1861, pubblicata sulla gazzetta del Regno (di Sardegna) n. 67, cambiava il nome dello Stato indirettamente e non esplicitamente senza alcuna deliberazione parlamentare e senza alcuna riforma costituzionale, né dalle Camere una votazione palese o a scrutinio segreto (art. 28 del Regolamento) dopo il discorso di Cavour del 21 febbraio e 11 marzo non si parla mai di cambiare ufficialmente il nome allo Stato.

Fig.1 Gazzetta Ufficiale n.66 del 1861

Fig.2 Gazzetta Ufficiale n.67 del 1861

Ricordiamo che il 18 febbraio 1861 Vittorio Emanuele II, con un solenne discorso inaugurò a Torino il nuovo Parlamento formato dai rappresentanti di tutti gli Stati e territori annessi al Regno di Sardegna, al fine di esaminare il progetto governativo di Unità nazionale. Il sovrano sorvegliò la discussione per far respingere le manifestazioni di tipo democratico, e rifiutò il titolo di re degli italiani con l’ordinale iniziale (= Vittorio Emanuele I) per mantenere, come conquistatore, quello sardo (= Vittorio Emanuele II);
è lo Stato a dare l’ordinale al suo massimo rappresentante il re, in questo caso, e non la casata o gli interessi nazionali o le convenzioni politiche, secondo l’ordinale interno dello Stato pur se provenienti da casate diverse.

Infatti dopo il 17 marzo 1861 né all’interno né all’esterno del nuovo parlamento allargato a tutti i rappresentanti degli ex Stati peninsulari aboliti e annessi allo Stato sardo, ci fu la richiesta di una costituente per la scrittura di una Costituzione condivisa che sostituisse il vecchio Statuto del ’48 concesso dal re Carlo Alberto in forma unilaterale ottriata e che trasformasse lo Stato (non solo nel nome) in chiave democratica (vedi repubblica romana nel ‘49).

Anche se lo Stato cambiò nome, non vi fu, dicono i manuali di Diritto Costituzionale, né in tale occasione, né in alcuna altra antecedente o susseguente, alcuna costituzione ex novo di una entità politica statale. Lo stesso appellativo di Regno d’Italia, assunto con legge 17 marzo 1861 n. 4671, è solo il nuovo nome, più appropriato alla nuova situazione di fatto, assunto dallo Stato sardo, per cui l’attuale Stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna ampliato nei suoi confini.

In verità il cambio del nome di uno Stato non è una cosa arbitraria, incostituzionale. Sia il nome sia il titolo sia la simbologia statuale appartengono alla categoria degli “attributi di Personalità” dello Stato, i quali possono essere modificati o addirittura aboliti senza che lo Stato ne soffra o cambi la propria condizione giuridica. 

Nel corso della storia ciò è avvenuto tante volte. Ma ciò che resta ingiusto e inaccettabile è che con questo cambio si sia introdotto nella società l’inganno che il binomio Italia-Penisola voglia dire Italia-Stato, ed il mito che di tutto ciò che era nello Stivale prima del 1861 faccia parte da sempre di un’unica vicenda storica, di un unico idem sentire, di un’unica cittadinanza e nazionalità che nella sostanza tradisce il reale percorso dello Stato oggi detto italiano.
Per la storia patria è stato adottato dagli storici italianisti ed imposto dai programmi scolastici ministeriali il metodo popurri, una mescolanza di storie diverse, per lo più territoriali, ignoranti degli Stati dove queste storie si sono formate. Ed è questa una coercizione culturale e sociale pericolosa, quanto l’ideologia fascista, perché sottomette psicologicamente le nostre genti, indirizzandole verso la convinzione di una koinè nazionale inesistente anche oggi.

Fig.3 Armata Sarda diventa Esercito Italiano

 

I Sovrani del Regno

1° Re: Giacomo I – Giacomo II il Giusto (1297-1327)
2° Re: Alfonso I – Alfonso IV il Benigno (1327-1336)
3° Re: Pietro I – Pietro IV il Cerimonioso (1336-1387)
4° Re: Giovanni I – Giovanni I il Cacciatore (1387-1396)
5° Re: Martino I – Martino il Vecchio detto l’umano (1396-1410)
6° Re: Ferdinando I – Ferdinando I Trastàmara di Antequera (1412-1416)
7° Re: Alfonso II – Alfonso V il Magnanimo (1416-1458)
8° Re: Giovanni II – Giovanni II il Senza Fede (1458-1479)
9° Re: Ferdinando II – Ferdinando II il Cattolico (1479-1516)
10° Re: Carlo I – Carlo I d’Asburgo – V Imperatore (1516-1556)
11° Re: Filippo I – Filippo II d’Asburgo (1556-1598)
12° Re: Filippo II – Filippo III d’Asburgo (1598-1621)
13° Re: Filippo III – Filippo IV d’Asburgo (1621-1665)
14° Re: Carlo II – Carlo II d’Asburgo (1665-1700)
15° Re: Filippo IV – Filippo V di Borbone (1700-1720)
16° Re: Carlo III – Carlo III d’Asburgo – VI Imperatore (1708-1717)
17° Re: Vittorio Amedeo I – Vittorio Amedeo II Duca di Savoia (1720-1730)
18° Re: Carlo Emanuele I – Carlo Emanuele III di Savoia (1730-1773)
19° Re: Vittorio Amedeo II – Vittorio Amedeo III di Savoia (1773-1796)
20° Re: Carlo Emanuele II – Carlo Emanuele IV di Savoia (1796-1802)
21° Re: Vittorio Emanuele I – Vittorio Emanuele I di Savoia (1802-1821)
22° Re: Carlo Felice I – Carlo Felice Duca del Genovese (1821-1831)
23° Re: Carlo Alberto (1831-1849) -Casata dei Carignano
24° Re:

25° Re:

26° Re:

27° Re:

28° PR:

29° PR:

30° PR:

31° PR:

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38° PR:

39° PR:                  

Vittorio Emanuele II (1861-1878)

Umberto I (dal 1878 – al 1900)

Vittorio Emanuele III (dal 1900 – al 1946)

Umberto II (1946)

Enrico De Nicola (dal 1946 – al 1948)

Luigi Einaudi (dal 1948 – al 1955)

Giovanni Gronchi (dal 1955 – al 1962)

Antonio Segni (1962 – dal 1964)

Giuseppe Saragat (1964 – 1971)

Giovanni Leone (1971 – 1978)

Sandro Pertini (1978 – 1985)

Francesco Cossiga (1985 – 1992)

Oscar Luigi Scalfaro (1992 – 1999)

Carlo Azeglio Ciampi (2006 – 2015)

Giorgio Napolitano (2006 – 2015)

Sergio Mattarella (2015 – oggi)

 

Fig.4 Legislature dello Stato

 

Fig.4 Legislature dello Stato (continua)

I segni distintivi della personalità di uno stato sono: il diritto al titolo (regno, repubblica,…), al nome, allo stemma e alla bandiera, riconoscibile a livello internazionale se possiede le seguenti 3 caratteristiche ( convenzione di Montevideo del 1933): popolo, territorio e vincolo giuridico che non riconosce nessuno al di sopra di sé. 

Armistizio breve di Cassibile 3 settembre 1943 (the crooked deal, definito così dai giornali d’oltreoceano “l’affare sporco”) a firma del gen. Giuseppe Castellano e gen. Walter Bedell Smith.

Il regno, nella zona occupata dalle forze anglo-americane, fu riconosciuto come partecipe al conflitto in veste di cobelligerante, senza godere dell’eguaglianza giuridica venendo ad essere subordinato alla volontà e agli interessi angloamericani sia per la condotta della guerra sia per la conclusione della pace.

Sotto pressione dei partiti antifascista al governo e americana, Umberto (luogotenente locum tenens generale del Regno, firmò il decreto-legge luogotenenziale n. 151/1944, che stabiliva che “.. dopo la liberazione del territorio nazionale le forme istituzionali dello Stato sarebbero scelte dal popolo italiano..” e “.. qualora la maggioranza degli elettori votanti si pronunci..” e che a tal fine, avrebbe eletto “.. a suffragio universale, diretto e segreto, un’assemblea costituente per deliberare la nuova costituzione”.

Fine ostilità il 2 maggio 1945 nel teatro di guerra del mediterraneo.

9 maggio 1946 re Vittorio Emanuele III abdica in favore di Umberto che diventa re con l’ordinale II, ventisettesimo capo dello Stato.

Il 10 giugno la Corte Cassazione proclamò i risultati provvisori della consultazione.

Il 12 giugno, una lettera del sovrano sollevava la questione del quorum e la preoccupazione dei ministri portò alla proclamazione, sui risultati provvisori, del passaggio ope legis dal re al presidente del consiglio.

Lo stesso 13 giugno Umberto II, parlò di gesto rivoluzionario, ma saputo che gli anglo-americani non sarebbero intervenuti in sua difesa e per evitare un’altra guerra civile, senza attendere la decisione definitiva del 18 giugno della corte costituzionale, decise, “..non volendo opporre la forza al sopruso,..” di lasciare l’italia.

La cassazione poi confermò la vittoria della repubblica con 12 magistrati a favore e 7 contrari (tra cui il presidente Giuseppe Pagano). La motivazione fu che per maggioranza degli elettori votanti, prevista dalla legge istituita del referendum, si dovesse intendere “maggioranza dei voti validi”, diversamente sostenuto dai monarchici.

Si cambia nome allo Stato da Regno di Sardegna in Regno d’Italia senza alcuna delibera parlamentare si cambia il titolo e il nome allo Stato, da Regno d’Italia in Repubblica Italiana, senza alcun atto formale di proclamazione della nuova forma costituzionale… L’assenza di una proclamazione ufficiale del passaggio dalla Monarchia alla Repubblica è giustificata, oggi, dal fatto che coi Decreti Luogotenenziali nn.98, 151 e 219 del 1946, veniva affidata alla Suprema Corte Costituzionale solo l’attestazione dei risultati del referendum DL2 giugno, ma non la proclamazione solenne e formale del vincitore.

Sicché, il Decreto Presidenziale n.1 del 19 giugno 1946 (diciassette giorni dopo il referendum), lungi dal contenere una formale proclamazione, la da per acquisita tacitamente, facendo riferimento, sic et simpliciter, a “..nuove formule per l’emanazione dei decreti ed altre disposizioni conseguenti alla nuova forma istituzionale dello Stato”. In particolare, l’art 6 stabiliva che le decisioni giuridiche dovevano recare l’intestazione: “REPUBBLICA ITALIANA. IN NOME DEL POPOLO ITALIANO”.

Meglio, ma non di molto, della Gazzetta Ufficiale del 17 marzo 1861.

Anche se ha cambiato per la quarta volta il proprio attributo di personalità, lo Stato sardo, pur con ecumene ampliato, è sempre lo stesso, non solo, ma il titolo e il nome originario di Regno di Sardegna rimane ancora oggi “a futura memoria” sia nei titoli grandi dell’attuale re di Spagna Filippo VI che nei titoli araldici di Umberto II di Savoia-Carignano e dei suoi successori.

Il 10 febbraio 1947 firma del Trattato (UNILATERALE, conseguente alla resa incondizionata) di pace a Parigi, firmato da Antonio Lupi di Soragna e sigillato con l’anello di famiglia.

La ratifica dell’assemblea costituente avvenne con 262 voti favorevoli, 68 contrari e 80 astenuti (31 luglio 1947).

Ma la stessa assemblea costituente eletta il 2 giugno 1946 è illegale perché le elezioni avvennero in regime di occupazione militare straniera e soltanto col permesso dello straniero occupante.

La Convenzione di Vienna, Assemblea Generale dell’ONU, 23 maggio 1969, sul Diritto dei Trattati è chiara e formula le condizioni da rispettare per porre in essere un trattato.

Quello firmato del 1947, cappio per chi orbita nel contesto “italia”, è da abrogare, tutta la storia di questa penisola è da rivedere e riposizionare nei giusti binari, storici e giuridici nel rispetto dell’autodeterminazione dei nativi che su questo territorio, peninsulare e isolano, hanno versato lacrime e sangue su/per delle verità deliberatamente costituite, ma che tali non sono!